Dovendo parlare di Alta Velocità in Italia e di tutte le sue contraddizioni legate alla politica, non si sa da dove cominciare in quanto l'argomento è un coacervo di errori, colposi o dolosi, di ignoranza, di interessi, di indecisioni, di superficialità. Il progetto sembra ora che, con tutte le cautele del caso dettate da anni di esperienze negative, stia andando avanti. Ma credo sia estremamente istruttivo vedere cosa ci sia dietro il palcoscenico, quali lacrime e sangue esso nasconda.
Come ben si sa la rete ferroviaria nazionale risente di due sfavorevolissimi, macroscopici fattori per i quali soffre da sempre di condizioni svantaggiate rispetto ad altre reti europee più progredite. Per prima cosa essa è nata, si è sviluppata ed ingrandita non come frutto di un progetto unitario ed organico, ma come il risultato di tanti interessi locali quanti erano gli stati in cui era divisa la Penisola al momento. Quindi le grandi direttrici odierne sono sorte dall'unione di tanti spezzoni, più o meno omogenei, nati da tanti progettini regionali, con tutti i problemi che ne conseguono. Inoltre le condizioni orografiche sono piuttosto difficili e determinate dalla presenza di catene montuose, di continui dislivelli, di coste articolate.
Per superare tali ostacoli l'unica soluzione possibile era quella di ristrutturare la rete con linee completamente nuove, preventivando quindi costi astronomici. Un'intelligente soluzione tecnica arrivò appunto dalla FIAT Ferroviaria con un convoglio che, in grazia delle sue possibilità di sopportare maggiori accelerazioni in curva, consentisse maggiori velocità su quelle linee maggiormente penalizzate dalle massime tortuosità. In tal modo si ipotizzava di raggiungere il risultato con costi enormemente contenuti e limitati solo al materiale rotabile, senza toccare le strutture fisse.
Che poi il Pendolino potesse raggiungere un'invidiabile velocità di base appare, nel contesto, come un vantaggio in più.
Non entro nei dettagli tecnici del progetto che esulano dall'argomento e, comunque, abbondantemente divulgati. Ricorderò solo che il suo prototipo, l'elettromotrice Y0160 ebbe prestazioni eccellenti e raggiunse perfettamente tutti traguardi fissati: alta velocità di base, superiori velocità in curva, estrema affidabilità, tanto da richiamare un discreto interesse anche all'estero. Ordinato in un solo esemplare, l'ETR.401, fu poi misteriosamente bocciato dal nostro lungimirante ente ferroviario senza validi motivi apparenti.
Messo nel dimenticatoio, ne fu tirato fuori solo dopo che ci si accorse di essere stati superati da tutta Europa.
Oggi è in regolare servizio con grande successo come ETR.450, ETR.460, ETR.470 ed ETR.480 che non sono altro che una versione aggiornata, e neanche tanto, del prototipo. Il bello è che questi tipi di elettrotreni sono massimamente sfruttati, proprio per le loro caratteristiche di alta velocità, non solo nelle linee tortuose a cui erano destinati, ma anche e soprattutto nel progetto omonimo. Quindi, nati anni ed anni fa per tutt'altri scopi, sono ad oggi ancora validi, anzi tirati fuori come ancora di salvezza, per una caratteristica a loro intrinseca ma totalmente misconosciuta a suo tempo.
Più o meno nello stesso periodo, ma casualmente, e questo la dice lunga sulle capacità di programmazione dei nostri politici, venivano poste le basi dell'infrastruttura fissa che avrebbe dovuto supportare l'AV; infatti il progetto Pendolino ed il progetto Direttissima erano del tutto avulsi l'uno dall'altro, tant'è che la motrice più adeguata per il traino appariva allora la E.444.
Al tempo il termine AV era sconosciuto, ma si era pensato di superare alcuni degli ostacoli che impedivano una resa accettabile in termini di tempo da parte delle ferrovie con la rettifica e la "velocizzazione" di uno degli assi fondamentali nazionali di grande comunicazione, la Dorsale Roma - Firenze, parte cospicua della Roma - Milano ma penalizzata da anse continue ed indici di tortuosità insostenibili per una linea moderna e gravata da gran traffico.
Da qui l'idea di costruire quella famosa Direttissima che, fin da quando fu concepita, circa 30 anni fa appunto, aveva già in sé tutti i crismi di una linea AV. Inoltre, al tempo non aveva altri termini di paragone in tutto il mondo se non la Shinkansen giapponese.
Anche qui assistemmo ad un calvario perfino peggiore di quello del Pendolino.
Il primo tronco ad entrare in servizio fu quello da Settebagni, estrema periferia di Roma, a Città della Pieve, nei pressi di Chiusi. Siamo al 24/02/1977, quindi 21 anni fa. L'estesa attivata è già di tutto rispetto, trattandosi di 123 km, peraltro tagliati a metà da Orte dove, a causa della lunga galleria non ancora pronta, la continuità ferroviaria risultava spezzata e dove si verificava un andirivieni sulla vecchia Dorsale.
L'armamento era ed è davvero eccellente e le prestazioni con il più moderno materiale rotabile dell'epoca per l'Alta Velocità, ovvero i locomotori E.444 con le carrozze Gran Confort e le elettromotrici ALe 601, sollevano l'ammirazione dei tecnici di tutto il mondo.
Orbene, giunti a questo punto, la storia si interrompe e rischia addirittura di finire li. Vuoi per ragioni politiche, vuoi per questioni di bilancio, vuoi per i grandi interessi smossi e messi in pericolo, sta di fatto che i lavori cessano sulla Direttissima che vegeta, così incompiuta e mutilata, per quasi 10 anni.
In Parlamento se ne sentono di tutti i colori: c'è chi afferma che il mezzo di trasporto treno è superato per cui non sussiste più alcuna necessità di finanziamenti al riguardo; c'è chi propone una drastica ristrutturazione ed infine chi pontifica che la Direttissima va bene così come è.
Credo non valga neanche la pena di controbattere, viste le assurdità delle affermazioni, soprattutto l'ultima: chiunque capirebbe che migliaia di miliardi già spesi, semplicemente per ottenere un vantaggio di una manciata di minuti fra Roma e Chiusi, sono al limite della demenzialità.
Comunque nulla si smuove in questi anni ed i cantieri, desolatamente vuoti, vengono smantellati.
E nulla si smuove in Italia fino a quando le iniziative non arrivano dall'estero. Allora ci svegliamo improvvisamente per accorgersi che siamo in ritardo rispetto ad altri paesi e che, soprattutto, noi ci avevamo pensato, ma solo pensato, tanti anni prima. E la storia si ripete anche in questa occasione.
La Francia, buona seconda in questa direzione, divenne ben presto, di gran lunga e con pieno merito, la prima della classe quando si trattò di fare e di concludere. Ecco spuntare il progetto TGV e la prima linea AV Parigi - Lione.
L'Italia, messasi alla finestra a guardare, dovette accorgersi che i risultati erano superiori ad ogni più rosea aspettativa.
Arrivarono così le nuove linee Atlantique e del Nord Ovest, la tecnologia francese esportò nel mondo ed altri si godettero i benefici che, se non altro in virtù dell'idea, potevano spettare a noi. Nonostante ciò i ritardi continuarono e l'Italia confermò il suo ozio politico endemico.
L'AV fu presto adottata con successo in Germania, le linee TGV arrivarono in Belgio ed in Olanda, la Gran Bretagna e la Svezia si affacciarono sul fronte dell'assetto variabile rispolverando idee simili a quelle del Pendolino.
Un progetto mastodontico quale quello del tunnel sotto la Manica, coinvolgente tra l'altro due nazioni e, soprattutto, riflessi particolarmente delicati quali il superamento del forte nazionalismo inglese con i suoi più intimi sentimenti di insularità, fu discusso, progettato e messo in opera in tempi che, per l'italica burocrazia sarebbero apparsi improponibili.
L'AV cominciò a mettere in crisi il trasporto aereo e ripropose davvero, non solo sulla carta, la concorrenzialità del mezzo su rotaia nelle medie distanze.
Soltanto allora i politici si svegliarono accorgendosi che, in effetti, qualche cosa di già pronto ci sarebbe anche da noi.
Vengono rispolverati in quattro e quattr'otto Pendolino e Direttissima; il primo aggiornato tecnicamente e che, pur con tutti i ritardi accumulati, riesce a fare ancora la sua figura all'estero; la seconda sana il buco di Orte, arriva da Chiusi nel Valdarno nel 1985 e viene finalmente completata il 01/06/1988.
Oggi, a dieci anni di distanza da questo tardivo risveglio, praticamente la nostra Alta Velocità è tutta ed ancora qui e di nuove linee AV in Italia non ne è apparsa neanche l'ombra. In pratica, il completamento della Direttissima si è esaurito con la costruzione di 99 km di nuovo tracciato.
E' pur vero che oramai cantieri aperti sui progetti AV sono innumerevoli e si sta lavorando su due fronti: Roma-Napoli e Bologna-Firenze.
Ma la realizzazione e messa in servizio di queste opere, quando avverrà, sarà sempre gravata dai vecchi e nuovi ritardi.
Quali sono i nuovi?
Sono quelli dovuti alla catastrofe delle pretestuose argomentazioni dei i Verdi con fasulli allarmi di impatto ambientale ed inquinamento sonoro di cui non se ne sentiva assolutamente bisogno, ma che hanno il pregio di riuscire a ritardare il tutto in maniera ancor più efficace di quanto non avessero fatto fino ad allora burocrati e politici.
Da convinti difensori del treno, come è giusto che sia, trattandosi del mezzo di trasporto ecologico per eccellenza, si sono trasformati in accaniti oppositori, non tanto perché abbiano le idee chiare sulla faccenda, quanto per un rigurgito di quei pregiudizi di chiara matrice politica per i quali l'AV sarebbe da assimilare a privilegi di classe: "l'AV è solo per i ricchi, ergo sviluppiamo solo il trasporto locale che è per i poveri". Commentare quest'affermazione sintomatica mi sembrerebbe di sminuire l'intelligenza del lettore ed appare come l'ultima delle contraddizioni di cui i Verdi italiani si sono resi responsabili. Sono state proprio queste contraddizioni che, in definitiva, ne hanno decretato il mancato successo a livello politico. Infatti l'idea in sé stessa merita la più alta considerazione, e personalmente mi ritengo un ambientalista convinto, ma ritengo anche ci sia una grossa differenza tra l'idea ambientalista e l'ideologia verde che patisce il peso dei seguenti vizi.
Oltre a ciò, l'insuccesso dei Verdi è stato determinato da prese di posizione illogiche, aprioristiche e faziose, evidenziando in tal modo scarsa propensione alla discussione, chiusura mentale verso tutta la problematica tecnico-economica, estrema difficoltà nell'accettare idee diverse. Da qui le illogiche prese di posizione contro l'AV.
Le argomentazioni più specificatamente tecniche contrarie all'AV esprimono pienamente tutte le contraddizioni in cui questo tipo di politica si dibatte:
Anche nel più ampio contesto del trasporto terrestre, non si dovrebbe parlare di concorrenza ma complementarietà ed intermodalità, con cui esaltare le caratteristica dell'uno o dell'altro mezzo nei settori più adatti: quindi aereo per le lunghe distanze, treno per le medie, auto, autobus e camion per le brevi.
Ma certamente, se dobbiamo permettere al treno di operare efficacemente nel suo segmento di mercato, le argomentazioni portate da politici, Verdi e sindacati sono quelle meno adatte.
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