La storia della prima ferrovia d'Italia è stata ampiamente discussa dai tanti organi di stampa specializzata, ma la testimonianza più eloquente dello sviluppo del trasporto su rotaia, ci è data dalla quantità di reperti custoditi nel Museo ferroviario Nazionale di Pietrarsa, alle porte sud-orientali di Napoli.
L'ex opificio borbonico fu fondato nel 1840 da Ferdinando II per la costruzione e la riparazione di materiale ferroviario e per le necessità della regia marina e dell'esercito.
Le officine sorsero su di un'area desolata ed inospitale, resa tale da una colata lavica durante l'eruzione del Vesuvio del 16 dicembre 1631. Il vulcano oltre a modificare l'aspetto paesaggistico dei luoghi, causò anche il mutamento della denominazione della località che da "Pietra Bianca" assunse il nome attuale di "Pietrarsa".
La struttura, dalle pregevoli soluzioni architettoniche, è situata in uno splendido scorcio del golfo di Napoli e la vicinanza alle regge di Napoli e Portici, la presenza di un approdo per le navi e di una batteria antinavale da costa costruita dai Francesi in epoca napoleonica, oltre alla breve distanza dalle officine di Granili in Torre Annunziata di cui Re Ferdinando, artefice di un rinnovamento culturale e tecnologico del Regno delle due Sicilie, amava seguire l'operato tenendosi sempre informato sulle innovazioni, contrariamente ai suoi predecessori, contribuirono alla designazione del sito.
Nel 1841 in loco venne istituita anche una scuola per la formazione di ufficiali macchinisti, mentre nel 1842 venne inaugurato il primo edificio del complesso che ospitava il reparto torneria.
Il 22 maggio del 1843 Ferdinando II ordinò con un Regio Decreto che le Officine di Pietrarsa si occupassero della costruzione e la riparazione di locomotive, nonché della costruzione e riparazione delle vetture e dei carri che avrebbero percorso la strada ferrata Napoli - Nocera - Capua.
Il 28 giugno 1844 entrarono nelle officine per la grande riparazione le prime due locomotive: "Impavido" e "Aligero" di costruzione inglese (1842) e nel 1845 si iniziò la costruzione delle prime locomotive a vapore sebbene sul modello della locomotiva "Veloce" acquistata in Inghilterra nel 1843. Vennero costruite in ordine, le locomotive "Pietrarsa", "Corsi", "Robertson", "Vesuvio", "Maria Teresa", "Etna", "Partenope". Nel 1847 l'officina era in pieno sviluppo: oltre al reparto torneria, trovavano spazio la fucineria, la fonderia con forni fusori per il getto di ghisa e ottone, la sala costruzioni locomotive, l'officina riparazioni locomotive, il reparto lavorazione caldaie, la sala di modelli con magazzini per materiali di scorta , una palazzina per la direzione, il reparto tecnico e il gabinetto di chimica.
Nel 1853 la struttura delle officine era completa in tutti i reparti. Vi lavoravano 619 operai, 40 detenuti, 20 soldati artificieri. Si può parlare di "complesso industriale", anticipando di parecchi decenni la fondazione di altri due "famosi" complessi industriali quali la Breda e la Fiat.
Nel 1860, con la caduta del Regno delle due Sicilie, iniziò un primo declino delle officine. Prima del passaggio della gestione al governo italiano, vi lavoravano 850 operai, 250 operai straordinari e 75 artiglieri. Si producevano caldaie, locomotive e macchine a vapore, carrozze e carri nonché accessori per il trasporto ferroviario. Si costruivano e si riparavano motori navali e macchinari per altre officine. La produzione di materiale bellico consisteva in cannoni e proiettili.
Per comprendere le reali capacità delle officine, il governo italiano da incarico all'ispettore delle Ferrovie Piemontesi, l'ingegner Sebastiano Grandis, di redigere una relazione sulle potenzialità di Pietrarsa. Il Grandis, forse per invidia davanti a tale complesso industriale (vogliamo pensare noi) o per motivi politici, sparò a zero sulle capacità di Pietrarsa.
Nella sua relazione si legge un giudizio estremamente negativo, sottolineando l'inutilità di alcuni edifici e reparti, di costi eccessivi di produzione, dell'enorme eccedenza del personale impiegato, della vetustà dei macchinari adoperati nelle lavorazioni, nonché della eccessiva lontananza di Pietrarsa dalla stazione di Napoli (ricordiamo che l'enorme distanza equivale a ben 7.411 metri!!!).
Considerando che Pietrarsa è stretta tra mare e ferrovia, concluse la sua relazione sconsigliandone la gestione governativa e proponendone invece una vendita a privati o la completa demolizione. Nel 1863 il governo diede in gestione le officine a privati. Iniziò un periodo in cui nelle officine, nonostante si costruissero ben 150 nuove locomotive, si eseguissero le Grandi Riparazioni di 72 locomotive, e si raggiunsero lusinghieri successi internazionali, non riuscì a superare la grave crisi economica. Il personale impiegato passò ad appena un centinaio di unità impiegate.
Nel 1877 il governo italiano chiamò a se la gestione di Pietrarsa e Granili affidando la direzione delle due officine all'ingegner Dionisio Passerini.
La nuova gestione, concretizzata con la specializzazione dei due impianti alla sola produzione e riparazione di materiale ferroviario ne risollevò le sorti. Durante la gestione Passerini, dal 1877 al 1885, vennero costruite 110 locomotive, 845 carri, 280 carrozze, riparate 64 vaporiere e centinaia di carri e carrozze.
Il 27 aprile 1885 il problema dell'utilizzazione di Pietrarsa e Granili si ripropose alla vigilia delle convenzioni ferroviarie. La rete ferroviaria italiana venne data in concessione a tre società ferroviarie: la Società Adriatica, la Mediterranea e la Sicula.
La commissione parlamentare espresse un parere favorevole alla conservazione affidandone la gestione alla Rete Mediterranea e mantenendone la specializzazione ferroviaria.
Il 1° Luglio 1905, con la nascita delle Ferrovie dello Stato, la gestione dei due impianti passò alle FS. Pietrarsa provvide alla riparazione di locomotive a vapore, Granili invece alla riparazione dei veicoli e delle sale montate. Fino al 1940 le officine di Pietrarsa furono interessate da lavori di potenziamento degli impianti. Con l'apertura di altri reparti e con i nuovi macchinari in opera la produttività delle officine aumentò. Il tempo minimo necessario per una Grande Riparazione di una locomotiva a vapore scese a 30 giorni lavorativi. Un record mai eguagliato dalle altre officine italiane.
Negli anni '60, iniziò un secondo declino per le officine di Pietrarsa, questa volta non dovute a fattori politici, ma a fattori "tecnologici". La progressiva utilizzazione della trazione elettrica e diesel a discapito di quella a vapore causò un inutilizzo delle locomotive a vapore. Le FS limitarono ad alcuni gruppi la Grande Riparazione di locomotive, e per le officine di Pietrarsa si prospettava il fantasma della chiusura.
Il 15 novembre 1975 le officine furono ufficialmente chiuse (mentre quelle di Granili lo furono già alcuni anni prima). Il 20 dicembre, la 640 088, ultima locomotiva ad avere effettuato una Grande Riparazione, lasciò Pietrarsa.
In seguito al provvedimento di chiusura, si rese disponibile l'enorme area di 36000 m2 di cui 14000 coperti, da dedicare alla creazione di un museo nazionale.
I lavori di ristrutturazione iniziarono nel 1980 per concludersi nel 1982. Dopo una parziale inaugurazione nel 1982, l'inaugurazione ufficiale fu rinviata al 3 ottobre 1989, in occasione del 150° anniversario della Napoli - Portici.
Oggi il museo di Pietrarsa è aperto al pubblico nei soli giorni feriali, dalle 8.30 alle 14.00 e straordinariamente i giorni festivi.
E' facilmente raggiungibile con i treni regionali della linea Napoli - Salerno, con fermata a Pietrarsa - San Giorgio a Cremano, con gli autobus della A.N.M. con fermata a Croce del Lagno. Per chi si reca al Museo in auto, suggeriamo l'autostrada Napoli - Salerno con l'uscita di Portici-Bellavista per chi proviene da Napoli e San Giorgio a Cremano per chi proviene da Salerno; di seguito seguire le indicazioni.
Il Museo ospita svariati esemplari di locomotive a vapore, elettriche e diesel, carrozze ed attrezzi d'epoca, oltre a materiale iconografico plastici e diorami ed alcuni modelli in grande scala di rotabili storici.
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